lunedì 31 marzo 2008

In Italia un milione e mezzo di mobbizzati


Sono almeno un milione e mezzo i casi di mobbing nel nostro Paese, la maggior parte dei quali è concentrata al Nord (65%). Le dunucie riguardano soprattutto le donne (il 52%) e più della metà coinvolge persone impegnate nel campo impiegatizio e con livello di istruzione medio: perlopiù lavoratori con diploma di scuola media superiore. I laureati, invece, sono il 24%.

Ma secondo l'ultima ricerca dell'Ispsel, l'istituto superiore per la sicurezza e la salute sul lavoro, in Italia percentuale di persone discriminate sul posto di lavoro è assai più bassa rispetto ad altre nazioni europee.

I dieci sintomi del mobbing


Negli Stati Uniti il 37% dei lavoratori, circa 54 milioni, hanno subito sul posto di lavoro atti di bullismo o maltrattamenti nocivi alla salute. Lo dice un sondaggio della società demoscopica Zogby International pubblicata sulla rivista economica Usa Forbes. Dalla ricerca emerge che spesso non si riconosce immediatamente di essere vittime di mobbing, e allora gli studioso hanno indicato dieci indizi che possono svelare il comportamento vessatorio del proprio capo o dei colleghi.
Il primo segnale può essere l'ansia del risveglio al mattino prima di recarsi al lavoro. Una sensazione comune certo, che assume un significato diverso se in ufficio la vittima è bersagliata da insulti e critiche gridati in faccia di fronte ai colleghi in modo da umiliarla. O se le vengono rinfacciati gli errori, magari esagerando o aggiungendo falsità. Accade di frequente anche che si diffondano tra le scrivanie pettegolezzi e false informazioni sulle abitudini o la vita del lavoratore preso di mira. Oppure che attorno a lui si faccia terra bruciata non informandolo delle riunioni. Infine due cattivi segnali sono i tentativi da parte dei colleghi di sabotare il suo lavoro o appropriarsi dei suoi meriti.

Over 50 da rottamare

In Italia sono 700 mila quelli che non riescono a rientrare nel mondo del lavoro. E vivono nel precariato tardivo
Da "L'espresso" del 7 marzo 2008

Ero andato dal parrucchiere e mi aveva detto: «Dottore, che cosa facciamo oggi, il solito?». Vado lì da trent'anni e il "solito" sono il taglio dei capelli e una ritoccata alla barba. «No!», gli avevo risposto, «stamattina coloriamo il ciuffo». Arrivato a 49 anni senza perdere un capello, avrei la chioma di quand'ero ragazzino, se non fosse per la striscia di bianco sulla frangia. Durante il ritocco, sulla poltrona avevo tenuto in mano la "Gazzetta" ma senza leggere un solo articolo, tormentato dal dilemma: «Funzionerà? Non funzionerà?». Uscito dal negozio ero corso a casa da mia moglie: «Perfetto», mi aveva rassicurato. Non ero impazzito, la mia nuova acconciatura aveva un senso e uno scopo... L'uomo dal ciuffo tinto cerca di barare, di fingersi più giovane: non lo fa per obiettivi galanti, né per migliorare il look. No: l'uomo dal ciuffo tinto vuole superare un colloquio, tentando di autoridursi l'anagrafe di una decina d'anni. Non è l'unico a fingere, con lui c'è un'intera generazione. Sono i lupi grigi del mondo del lavoro: vittime delle fusioni, delle tecnologie avanzate o di capi che hanno deciso di chiuderli in un angolo. Vagano lontano dai loro uffici o rinchiusi in gabbie troppo strette rispetto alle loro vecchie libertà: ululano sempre più disperati e finiscono per riunirsi in branco, negli studi degli avvocati o nei circoli Web. Un esercito che cresce di giorno in giorno, alle prese con problemi economici e psicologici. Perché il loro problema è quello di avere un'età fuori mercato: marciano verso i cinquant’anni o li hanno addirittura superati. E per tante aziende italiane sono solo costi da tagliare. Di questi uomini e donne da rottamare parla con ironia Gigi Furini, trasformando in un racconto dai toni brillanti l'incrocio di tante storie vere di precari maturi che cercano l'occupazione o la soddisfazione perduta. Sono totalmente out, ignorati dalla politica e della società, costretti a un destino di psicofarmaci, cause interminabili e ricerche disperate.
In "Volevo solo lavorare", Furini ritrae le anime perse in quella terra di nessuno che va dai 45 anni alla pensione, cercando di reinventarsi tra corsi di lingue, seminari di marketing, dispense di informatica, tante pasticche e molta umiliazione. Un'odissea che spesso parte dal mobbing per finire nella depressione clinica. Furini, giornalista veterano di cronaca giudiziaria e temi economici, ripete l'operazione che ha portato al successo "Volevo solo vendere pizza", il racconto in prima persona delle disavventure di un aspirante commerciante. Adesso guarda all'altro lato della barricata. E racconta il mondo del precariato tardivo: «Chi esce ancora giovane dal mondo del lavoro trova lavori temporanei, di ripiego, spiega Federmanager. Chi è costretto a ricominciare dalle inserzioni, scopre di essere discriminato per l'età: in media, le offerte si rivolgono a persone che hanno tra i 28 e i 34 anni e nell'87 per cento dei casi pongono un vincolo specifico: "44 anni di età massima ". Come dire che sono di dieci anni più vecchio rispetto al massimo concesso? Maledetto computer. Sforna dati senza sosta mentre io devo decidere della mia vita. A rischio, spiega ancora la ricerca, sono soprattutto quelli che abitano in una città del Centro-nord (io ci sono in pieno), hanno un buon bagaglio culturale (e ci dovrei essere) e appartengono alle classi medio alte (e qui c'è da discutere. Alte di reddito? Alte di titoli di studio?).
Leggo i dati Ocse, l'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico: insieme a Portogallo, Belgio e Olanda, l'Italia, dicono, «è il paese con il più basso tassi di assunzioni per gli over 50 (solo il 4 per cento). Sarebbero più di 700 mila quelli che non riescono a rientrare nel mercato del lavoro. Superare i 35 anni vuoi dire uscire dal bacino dei candidati favoriti dalle aziende. Andiamo bene. Adesso i "favoriti" hanno meno di 35 anni». I consigli per uscirne? Il manuale di auto-aiuto offre 12 regole chiare e semplici. Quella fondamentale? Abbiate pazienza. T. NI.

Cinquant'anni: troppi per lavorare, pochi per la pensione

Da "Gioia" del 14 marzo 2008
di Erica Arosio
50 anni. In Italia un'età difficile per lavorare. Sono sempre di più gli over 50 estromessi dal mercato del lavoro. E Luigi Furini, in un romanzo che non ha nulla di inventato, Volevo solo lavorare (Garzanti, pp. 230, € 15), lo racconta. Ecco cosa si impara leggendolo. 1. Cosa succede: Per le imprese italiane il 50enne con esperienza e stipendio alto vale molto meno del 30enne senza esperienza, ma flessibile e a basso costo. Quindi non solo il 50enne, ma anche l'over 45 vede sempre più spesso il suo posto a rischio. 2. Cosa fare: Imparare le lingue e l'inglese (non è mai troppo tardi), conoscere Internet e il computer e non usarlo come una macchina da scrivere. 3. Cosa non fare: Non accettare buone uscite, non farsi ingolosire dai soldi: finiscono subito. E chi accetta lo "scivolino" eviti di usare i soldi per aprire attività commerciali. Il rischio di perdere tutto è altissimo. 4. A chi chiedere aiuto: Prima, un 'associazione di Bologna che da anni si occupa di mobbing (tei. 051/6148919, http://www.mobbing-prima.it/), Atdal, fondata da Armando Rinaldi, ex manager Philips che ha provato sulla propria pelle l'estromissione dal mondo del lavoro. Si rivolge a tutti gli over 40 che hanno perso il lavoro (Atdalit@yahoo.it). Un'avvocatessa molto impegnata sul tema (emanuela.maggiore@virgilio.it).

«Racconto il dramma dei cinquantenni scaricati dalle aziende e dalla vita»

Da "La Provincia Pavese" del 16 marzo 2008
di Manuela Marziani
PAVIA - C'È CHI, in vista di un colloquio, si tinge i capelli sperando di sembrare più giovane e chi, pur di non raccontare alla moglie che ha perso il posto, tutte le mattine prende la sua valigetta ed esce di casa all'ora in cui usciva per andare al lavoro, ma poi passa le sue giornate ai giardini ricordandosi a fine mese di girare sul conto di famiglia un importo pari allo stipendio. Storie di ordinaria precarietà. Storie di 40enni che hanno costruito la loro vita attorno alla carriera e improvvisamente si ritrovano senza occupazione, senza stipendio e senza pensione. Storie che sono diventate un libro: «Volevo solo lavorare».
Dove ha raccolto i racconti inseriti nel libro?
«Dagli avvocati, dai sindacati - risponde l'autore Luigi Furini - ma soprattutto da due associazioni che si ritrovano in un bar di Porta Romana a Milano per darsi una mano e cercare di far cambiare la situazione attraverso pressioni politiche».
Hanno molti iscritti le associazioni?
«Certo, perché, visto come hanno organizzato la loro vita i 40/50enni, se sparisce il lavoro, scompare tutto. Con gli amici non si può più uscire perché non si hanno soldi da spendere, il rapporto coniugale viene minato perché si cominciano ad assumere psicofarmaci che portano scompensi sessuali, ai figli, che spesso sono ancora in casa, non si può più dare ciò che si dava prima, e un uomo si svilisce».
Che cosa chiedono i precari attempati?
«Di ricevere la pensione per i contributi versati fino a quel momento. Perché per i lavoratori delle piccole imprese che rappresentano il 95% del tessuto economico italiano non esistono scivoli o ammortizzatori sociali, ma queste persone hanno lavorato 20 o 30 anni. Se avessero fatto un'assicurazione privata, alla scadenza avrebbero avuto quanto pattuito, mentre con la pensione non funziona così perché lo Stato piano piano ha cambiato le regole del gioco mentre si stava giocando. Se prima bastavano 20 anni di contributi per avere la pensione, poi ne venivano richiesti 25 e adesso 40. "Vienimi incontro", chiedono queste persone. E sono soprattutto i manager e i quadri a farlo, perché non sanno come riciclarsi. Alcuni hanno aperto una partita Iva, ma a fine anno non sono riusciti ad emettere neanche una fattura, altri si sono venduti la seconda casa al mare o in montagna, mentre altri ancora cercano in tutti i modi di far durare fino alla pensione il gruzzolo che hanno da parte».
E trovare un altro lavoro?
«L'87% degli annunci di lavoro pubblicati sui giornali, per la ricerca di personale pone mediamente come limite d'età i 44 anni. Poi ci sono altri ostacoli al reintegro: la scarsa conoscenza dell'inglese e di Internet e la poca disponibilità ai trasferimenti».
Come le è venuta l'idea di scrivere questo libro?
«In parte da un'esperienza personale vissuta tempo fa, quando ho subito il mobbing ed ero deciso a lasciare il mio posto, ma prima ho messo la testa fuori e mi sono reso conto che la maggior parte degli over 50 disoccupati non ritrovano più un lavoro. Li ho incontrati tutti dallo psicoterapeuta, imbottiti di psicofarmaci. Perché ormai il mondo del lavoro italiano è diviso in due categorie: i dipendenti a tempo indeterminato, intoccabili soprattutto se lavorano nella pubblica amministrazione, e un esercito di poveracci che guadagnano dai 300 ai 700 euro al mese».

Precari assunti e licenziati ogni 2 ore

Da "L'Eco di Bergamo" del 19 marzo 2008
di Gabriella Persiani
Il mondo del precariato italiano non è fatto solo di «bamboccioni». Ecco allora l'ex manager che tarocca il curriculum abbassandosi l'età di 10 anni e si presenta al colloquio di assunzione con i capelli tinti. Il trucco lì per lì funziona, ma alla presentazione dei documenti per la firma del contratto i nuovi datori di lavoro scoprono l'inganno e lo ributtano in strada. O l'impiegato che per la delocalizzazione si ritrova di punto in bianco senza la sua scrivania e che mente alla moglie facendole credere di continuare a lavorare. Come? Versando ogni mese sul conto di famiglia una somma pari allo stipendio ma presa dalla liquidazione e trascorrendo d'inverno la giornata in un bar e la bella stagione ai giardini. Una «recita» che dura 4 anni fino all'arrivo del traguardo della pensione. E ancora dipendenti che sono costretti a reinventarsi come liberi professionisti a partita Iva, ma che alla fine dell'anno non staccano neanche una fattura, pur dovendo pagare le tasse. E poi cuochi e camerieri assunti e licenziati ogni due ore, centinaia di volte l'anno, e impiegati vittime del mobbing costretti a scegliere tra antidepressivi, ansiolitici e Viagra.
Sono quasi un milione e mezzo gli ultracinquantenni che dopo una vita di lavoro si ritrovano all'improvviso «senza uno stipendio e senza dignità» e le provano tutte pur di rientrare dalla finestra dopo essere stati accompagnati non proprio galantemente alla porta. Ma non c'è sempre il lieto fine. A raccontare uno spaccato di questa realtà poco nota, ma numericamente rilevante, è il giornalista Luigi Furini nel suo ultimo libro-inchiesta «Volevo solo lavorare», edito da Garzanti.
Storie surreali nella loro tragicomicità, che arrivano dal profondo Nord e che fotografano un sottobosco di cui si tace anche in campagna elettorale.
L'idea nasce dall'esperienza personale di Furini, classe 1954, che, da mobbizzato e alle prese con la conseguente insonnia tenace, trova la sala d'aspetto dello psicoterapeuta piena di over 50, tutti in cura per la perdita del lavoro e la difficoltà di trovare un reinserimento. «Si tratta di vicende tristemente vere - spiega l'autore -. Immaginate quanto sia amara la scoperta per un cinquantenne che è solo un'illusione puntare sulle competenze acquisite in tanti anni di lavoro, se non si mastica l'inglese, si ha poca dimestichezza con il pc e la famiglia rende difficile il trasferimento». Chi si prende carico di questa situazione?

Un viaggio fra le file del mobbing

Da "La Voce d’Italia"
di Giuseppe Franco

Sei precario? Sposati un ricco. A quanto pare è l'unica soluzione che ogni "lavoratore moderno" dovrebbe intraprendere per uscire da questa condizione. Nell'attesa che vengano offerte nuove soluzioni e quindi concretizzata la famosa frase ad effetto "largo ai giovani" (ormai vecchi ndr), dedichiamoci alla lettura del nuovo libro di Luigi Furini: "Volevo solo Lavorare".
Furini affronta un problema sempre più attuale nel mondo del lavoro: il mobbing. E lo fa con ironia, partendo dalla sua esperienza personale da "mobbizzato", costretto, a lavorare nello sgabuzzino delle scope con la scrivania. Ma siamo ancora all'inizio del viaggio, perchè negli uffici la perfidia di capi e colleghi supera ogni immaginazione.
L'autore approfondisce il tema attraverso un'inchiesta in prima persona tra, cuochi e camerieri assunti e licenziati in meno di due ore. Ex manager che fanno i baristi o i baby sitter. Impiegati vittime del mobbing, combattuti tra antidepressivi, ansiolitici e Viagra. Dirigenti disoccupati che si tingono i capelli prima di un colloquio di lavoro, per nascondere l'età. E per la "gioia" di magistrati esperti in materia, la storia di tre giovani dipendenti premiate dal datore di lavoro con una vacanza ai Caraibi, a patto che siano "gentili" con i clienti.
"Volevo solo Lavorare" riporta l'attenzione su un problema di grande attualità, spesso dimenticato. L'italia infatti è l'unico paese europeo che non ha una legge sul mobbing, nonostante le richieste dalla comunità europea. La speranza, di noi lettori "distratti", potrebbe essere che i giovani precari e i lavoratori cancellati da ogni lista di collocamento siano solo personaggi sognati da uno scrittore che si è addormentato sulla scrivania, magari con una scopa vicina...

mercoledì 26 marzo 2008

Voliv 'a pizza

Lo speciale di Repubblica.tv su lacci e lacciuoli della burocrazia

martedì 25 marzo 2008

In Puglia un codice contro il mobbing

La Giunta regionale pugliese ha adottato, con la delibera 280/2008, il "Codice di condotta per la prevenzione di molestie sessuali, discriminazioni e mobbing", che si pone l'obiettivo di tutelare il benessere psico-fisico delle persone all'interno delle strutture dell'ente e il miglioramento della qualità della vita e del lavoro.

La seconda fatica letteraria



"Volevo solo lavorare" (in libreria dal 6 marzo) è un viaggio nella giungla di chi è troppo vecchio per le imprese e troppo giovane per avere la pensione, tra i «mobbizzati» dell’unico paese europeo senza una legge in materia, tra i giovani precari, tra i lavoratori poveri e gli «scoraggiati», cancellati anche dalle liste del collocamento. Tra vicende tragicomiche, corsi di autodifesa e reti di solidarietà, Furini scopre un’Italia che i media non raccontano più: problemi concreti e quotidiani che la politica ha dimenticato, in un paese che sta perdendo le sfide della globalizzazione.

Nelle pagine di questo libro potrete leggere del giornalista «scomodo» costretto a lavorare nello sgabuzzino delle scope. O le vicende di cuochi e camerieri assunti e licenziati ogni due ore, centinaia di volte all’anno, con regolare tredicesima e quattordicesima (totale 1,1383 euro) e riposi non goduti (80 centesimi). Oppure la storia delle tre giovani dipendenti premiate dal datore di lavoro con una vacanza ai Caraibi, a patto che siano «gentili» con i clienti...

Aprire una pizzeria? In Italia è praticamente impossibile

16 febbraio 2007 - Il Sole 24 Ore
di Stefano Natoli

Dove è più facile aprire un’impresa? In un Paese dove si possono fare affari con relativa semplicità. Non è dunque il caso dell’Italia che nella classifica della Banca Mondiale è all’82esimo posto, dietro potenze – con tutto il rispetto – del calibro di Kazakhistan, Serbia, Giordania e Colombia. Il merito – si fa per dire – è della nostra infernale burocrazia. Così almeno la pensa il giornalista Luigi Furini che in ‘Volevo solo vendere la pizza’ (Garzanti editore) racconta una storia che se non fosse vera – avendo avuto lui stesso protagonista - potrebbe tranquillamente essere la sceneggiatura di un film comico.
Un saggio divertente sull’opprimente dittatura della burocrazia Ecco la storia. Un giorno l'autore - ex sindacalista Cigl, attualmente giornalista del Gruppo l’Espresso - ha la brillante idea di cambiare attività e di aprire una pizzeria da asporto nel centro di Pavia. L'idea nasce parlandone con l’amico di sempre proprio stando seduti al tavolo di una pizzeria: due conti e la conclusione che quella del pizzaiolo e un’attività che può diventare molto redditizia. La moglie sulle prime ha qualche perplessità, ma poi decide di assecondare il progetto del marito e il suo desiderio di diventare imprenditore: “Ci metto un forno e un bancone. Vuoi vedere che funziona?”. Sulla carta sembra tutto facile.
Così Luigi ci prova. Trova il locale e comincia a seguire i corsi di primo soccorso, quello antincendio, quello sulla prevenzione degli infortuni. Frequenta commercialisti e avvocati. Informa le ‘lavoratrici gestanti’ dei rischi che corrono. Sistema le cose con l'Asl: i regolamenti sull'igiene e l'obbligo di installare le numerose trappole per i topi.Compra centinaia di marche da bollo, compila e paga un'infinità di bollettini postali. Sei mesi dopo e con 100mila euro in meno apre finalmente l'attività: il tanto desiderato negozio di pizza da asporto che si chiama Tango.E qui comincia l'avventura. Luigi lavora 14 ore al giorno, si trova a dover fare i conti con i cosiddetti ‘lavoratori’ e con i sindacati. Risultato: dopo due anni chiuderà bottega.
Un libro a tratti esilarante che tocca in realtà temi molto seri – soprattutto nel momento in cui si parla di riforma della Legge Biagi - e pone interrogativi importanti: l’eccessiva rigidità nei rapporti di lavoro porta ad un eccesso di flessibilità? Le leggi troppo restrittive spingono inevitabilmente verso l’economia sommersa e il lavoro nero?Un libro che fa emergere una verità ampiamente percepita: quanto sia complicato nel nostro Paese anche solo aprire una pizzeria. Troppa burocrazia, cavilli di ogni genere e sindacalisti iper garantisti anche nei confronti di chi a lavorare non ci pensa proprio, ma vuole solo lo stipendio. Se con una doppia attività, è meglio. Il caso della dipendente di Luigi incinta che denuncia una gravidanza a rischio e apre una pizzeria proprio di fronte a quella del suo titolare, la dice tutta.“Alla fine il suo ritratto del nostro Welfare straccione è folgorante ed impietoso – scrive Marco Travaglio nella prefazione - politicamente scorrettissimo proprio perché molto più autentico e realistico di qualunque trattato socio economico”.

La prima fatica letteraria



Volevo solo vendere la pizza


Le disavventure di un piccolo imprenditore


ed. Garzanti


«Un ritratto del nostro Welfare straccione folgorante e impietoso, politicamente scorrettissimo proprio perché molto più autentico e realistico di qualunque trattato economico. Vivamente consigliato ai politici e ai sindacalisti che vogliono guardarsi allo specchio e uscire dal loro polveroso Jurassic Park.» Dalla prefazione di Marco Travaglio


Dove è più facile aprire un’impresa? In un paese dove si possono fare affari con relativa semplicità. Nella classifi ca della Banca Mondiale, l’Italia è all’82º (ottantaduesimo) posto, dopo il Kazakhistan, la Serbia, la Giordania e la Colombia. Merito della nostra infernale burocrazia.Un giornalista prova a diventare imprenditore. Segue i corsi di primo soccorso, quello antiincendio, quello sulla prevenzione degli infortuni. Frequenta commercialisti e avvocati. Informa le «lavoratrici gestanti» dei rischi che corrono – ma solo quelle «di età superiore ad anni 15». E poi c’è l’ASL con tutti i regolamenti sull’igiene e l’obbligo di installare e numerare le trappole per topi (non basta il topicida, vogliono fare una statistica?). C’è persino il decalogo che insegna quando bisogna lavarsi le mani. Compra centinaia di marche da bollo, compila (e paga) un’infinità di bollettini postali.

Sei mesi dopo e con centomila euro di meno, apre finalmente l’attività: un piccolo negozio di pizza d’asporto. Ma a quel punto si trova a dover fare i conti con i cosiddetti «lavoratori» e con i sindacati. Dopo due anni infernali, chiuderà bottega: non è sfiga, è il sistema. L’eccessiva rigidità nei rapporti di lavoro porta a un eccesso di fl essibilità? Le leggi troppo restrittive spingono inevitabilmente verso l’economia sommersa e il lavoro nero? Sono i temi di discussione in questi mesi caldi, mentre si parla di riforma della Legge Biagi.

Quello di Gigi Furini non è un trattato di economia del lavoro. È il resoconto di due anni impossibili, con tanti aneddoti spassosi. Eroica e sfortunata protagonista, una piccola società che «voleva solo vendere la pizza».