16 febbraio 2007 - Il Sole 24 Ore
di Stefano Natoli
Dove è più facile aprire un’impresa? In un Paese dove si possono fare affari con relativa semplicità. Non è dunque il caso dell’Italia che nella classifica della Banca Mondiale è all’82esimo posto, dietro potenze – con tutto il rispetto – del calibro di Kazakhistan, Serbia, Giordania e Colombia. Il merito – si fa per dire – è della nostra infernale burocrazia. Così almeno la pensa il giornalista Luigi Furini che in ‘Volevo solo vendere la pizza’ (Garzanti editore) racconta una storia che se non fosse vera – avendo avuto lui stesso protagonista - potrebbe tranquillamente essere la sceneggiatura di un film comico.
Un saggio divertente sull’opprimente dittatura della burocrazia Ecco la storia. Un giorno l'autore - ex sindacalista Cigl, attualmente giornalista del Gruppo l’Espresso - ha la brillante idea di cambiare attività e di aprire una pizzeria da asporto nel centro di Pavia. L'idea nasce parlandone con l’amico di sempre proprio stando seduti al tavolo di una pizzeria: due conti e la conclusione che quella del pizzaiolo e un’attività che può diventare molto redditizia. La moglie sulle prime ha qualche perplessità, ma poi decide di assecondare il progetto del marito e il suo desiderio di diventare imprenditore: “Ci metto un forno e un bancone. Vuoi vedere che funziona?”. Sulla carta sembra tutto facile.
Così Luigi ci prova. Trova il locale e comincia a seguire i corsi di primo soccorso, quello antincendio, quello sulla prevenzione degli infortuni. Frequenta commercialisti e avvocati. Informa le ‘lavoratrici gestanti’ dei rischi che corrono. Sistema le cose con l'Asl: i regolamenti sull'igiene e l'obbligo di installare le numerose trappole per i topi.Compra centinaia di marche da bollo, compila e paga un'infinità di bollettini postali. Sei mesi dopo e con 100mila euro in meno apre finalmente l'attività: il tanto desiderato negozio di pizza da asporto che si chiama Tango.E qui comincia l'avventura. Luigi lavora 14 ore al giorno, si trova a dover fare i conti con i cosiddetti ‘lavoratori’ e con i sindacati. Risultato: dopo due anni chiuderà bottega.
Un libro a tratti esilarante che tocca in realtà temi molto seri – soprattutto nel momento in cui si parla di riforma della Legge Biagi - e pone interrogativi importanti: l’eccessiva rigidità nei rapporti di lavoro porta ad un eccesso di flessibilità? Le leggi troppo restrittive spingono inevitabilmente verso l’economia sommersa e il lavoro nero?Un libro che fa emergere una verità ampiamente percepita: quanto sia complicato nel nostro Paese anche solo aprire una pizzeria. Troppa burocrazia, cavilli di ogni genere e sindacalisti iper garantisti anche nei confronti di chi a lavorare non ci pensa proprio, ma vuole solo lo stipendio. Se con una doppia attività, è meglio. Il caso della dipendente di Luigi incinta che denuncia una gravidanza a rischio e apre una pizzeria proprio di fronte a quella del suo titolare, la dice tutta.“Alla fine il suo ritratto del nostro Welfare straccione è folgorante ed impietoso – scrive Marco Travaglio nella prefazione - politicamente scorrettissimo proprio perché molto più autentico e realistico di qualunque trattato socio economico”.
di Stefano Natoli
Dove è più facile aprire un’impresa? In un Paese dove si possono fare affari con relativa semplicità. Non è dunque il caso dell’Italia che nella classifica della Banca Mondiale è all’82esimo posto, dietro potenze – con tutto il rispetto – del calibro di Kazakhistan, Serbia, Giordania e Colombia. Il merito – si fa per dire – è della nostra infernale burocrazia. Così almeno la pensa il giornalista Luigi Furini che in ‘Volevo solo vendere la pizza’ (Garzanti editore) racconta una storia che se non fosse vera – avendo avuto lui stesso protagonista - potrebbe tranquillamente essere la sceneggiatura di un film comico.
Un saggio divertente sull’opprimente dittatura della burocrazia Ecco la storia. Un giorno l'autore - ex sindacalista Cigl, attualmente giornalista del Gruppo l’Espresso - ha la brillante idea di cambiare attività e di aprire una pizzeria da asporto nel centro di Pavia. L'idea nasce parlandone con l’amico di sempre proprio stando seduti al tavolo di una pizzeria: due conti e la conclusione che quella del pizzaiolo e un’attività che può diventare molto redditizia. La moglie sulle prime ha qualche perplessità, ma poi decide di assecondare il progetto del marito e il suo desiderio di diventare imprenditore: “Ci metto un forno e un bancone. Vuoi vedere che funziona?”. Sulla carta sembra tutto facile.
Così Luigi ci prova. Trova il locale e comincia a seguire i corsi di primo soccorso, quello antincendio, quello sulla prevenzione degli infortuni. Frequenta commercialisti e avvocati. Informa le ‘lavoratrici gestanti’ dei rischi che corrono. Sistema le cose con l'Asl: i regolamenti sull'igiene e l'obbligo di installare le numerose trappole per i topi.Compra centinaia di marche da bollo, compila e paga un'infinità di bollettini postali. Sei mesi dopo e con 100mila euro in meno apre finalmente l'attività: il tanto desiderato negozio di pizza da asporto che si chiama Tango.E qui comincia l'avventura. Luigi lavora 14 ore al giorno, si trova a dover fare i conti con i cosiddetti ‘lavoratori’ e con i sindacati. Risultato: dopo due anni chiuderà bottega.
Un libro a tratti esilarante che tocca in realtà temi molto seri – soprattutto nel momento in cui si parla di riforma della Legge Biagi - e pone interrogativi importanti: l’eccessiva rigidità nei rapporti di lavoro porta ad un eccesso di flessibilità? Le leggi troppo restrittive spingono inevitabilmente verso l’economia sommersa e il lavoro nero?Un libro che fa emergere una verità ampiamente percepita: quanto sia complicato nel nostro Paese anche solo aprire una pizzeria. Troppa burocrazia, cavilli di ogni genere e sindacalisti iper garantisti anche nei confronti di chi a lavorare non ci pensa proprio, ma vuole solo lo stipendio. Se con una doppia attività, è meglio. Il caso della dipendente di Luigi incinta che denuncia una gravidanza a rischio e apre una pizzeria proprio di fronte a quella del suo titolare, la dice tutta.“Alla fine il suo ritratto del nostro Welfare straccione è folgorante ed impietoso – scrive Marco Travaglio nella prefazione - politicamente scorrettissimo proprio perché molto più autentico e realistico di qualunque trattato socio economico”.
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