Da "L'Eco di Bergamo" del 19 marzo 2008
di Gabriella Persiani
Il mondo del precariato italiano non è fatto solo di «bamboccioni». Ecco allora l'ex manager che tarocca il curriculum abbassandosi l'età di 10 anni e si presenta al colloquio di assunzione con i capelli tinti. Il trucco lì per lì funziona, ma alla presentazione dei documenti per la firma del contratto i nuovi datori di lavoro scoprono l'inganno e lo ributtano in strada. O l'impiegato che per la delocalizzazione si ritrova di punto in bianco senza la sua scrivania e che mente alla moglie facendole credere di continuare a lavorare. Come? Versando ogni mese sul conto di famiglia una somma pari allo stipendio ma presa dalla liquidazione e trascorrendo d'inverno la giornata in un bar e la bella stagione ai giardini. Una «recita» che dura 4 anni fino all'arrivo del traguardo della pensione. E ancora dipendenti che sono costretti a reinventarsi come liberi professionisti a partita Iva, ma che alla fine dell'anno non staccano neanche una fattura, pur dovendo pagare le tasse. E poi cuochi e camerieri assunti e licenziati ogni due ore, centinaia di volte l'anno, e impiegati vittime del mobbing costretti a scegliere tra antidepressivi, ansiolitici e Viagra.
Sono quasi un milione e mezzo gli ultracinquantenni che dopo una vita di lavoro si ritrovano all'improvviso «senza uno stipendio e senza dignità» e le provano tutte pur di rientrare dalla finestra dopo essere stati accompagnati non proprio galantemente alla porta. Ma non c'è sempre il lieto fine. A raccontare uno spaccato di questa realtà poco nota, ma numericamente rilevante, è il giornalista Luigi Furini nel suo ultimo libro-inchiesta «Volevo solo lavorare», edito da Garzanti.
Storie surreali nella loro tragicomicità, che arrivano dal profondo Nord e che fotografano un sottobosco di cui si tace anche in campagna elettorale.
L'idea nasce dall'esperienza personale di Furini, classe 1954, che, da mobbizzato e alle prese con la conseguente insonnia tenace, trova la sala d'aspetto dello psicoterapeuta piena di over 50, tutti in cura per la perdita del lavoro e la difficoltà di trovare un reinserimento. «Si tratta di vicende tristemente vere - spiega l'autore -. Immaginate quanto sia amara la scoperta per un cinquantenne che è solo un'illusione puntare sulle competenze acquisite in tanti anni di lavoro, se non si mastica l'inglese, si ha poca dimestichezza con il pc e la famiglia rende difficile il trasferimento». Chi si prende carico di questa situazione?
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