mercoledì 25 febbraio 2009

I miei soldi per salvare Unicredit. Mi sento un eroe. O, per dirla con Mourinho....

Il governo va in aiuto alle banche con 10 miliardi di euro. Le banche emettono i bond e Tremonti li sottoscrive. E dove va il governo a prendere 10 miliardi di euro, freschi, freschi? Molto semplice. Glieli diamo noi. Il governo emette Bot e noi li sottoscriviamo. E con i nostri soldi lo stesso governo sottoscrive i bond di Unicredit e Intesa, ecc... Insomma, con i miei risparmi salvo Profumo e la sua banca da un probabile default. Mi sento un eroe. O, per dirla con Mourinho, un pirla.
Se vuoi, leggi il pezzo del Corriere sui Tremonti Bond
http://www.corriere.it/economia/09_febbraio_25/tremonti_bond_firma_1c2360c8-0341-11de-a752-00144f02aabc.shtml

martedì 24 febbraio 2009

I prezzi scendono, i consumatori ritrovano un po' di fiducia

Gli economisti misurano la febbre al mercato. Un termometro usato è la fiducia dei consumatori. In Italia è in crescita, spinta, dicono, dalla bassa inflazione. Negli Usa è ai minimi storici, eppure siamo tutti sulla stessa barca. L'impressione è che le rilevazioni vengano fatte a casaccio. Per saperne di più leggi questi due articoli.
il primo, sul corriere;
il secondo su wallstreetitalia

venerdì 20 febbraio 2009

Quanto è lungo il tunnel della crisi? Dicono che bisogna aspettare il mese di luglio

I dati che vengono dalle industrie fanno tremare le vene dei polsi. Il settore auto, poi, non accenna a riprendersi. Non è che abbiamo fatto il passo pià lungo della gamba negli anni scorsi e adesso paghiamo il conto? Per saperne di più leggi questo pezzo sul corriere

mercoledì 18 febbraio 2009

Ristoranti? No grazie. Stasera giochiamo a tombola

In America non si esce più la sera. La crisi costringe milioni di persone davanti alla tivù. Lo sostiene il Corriere. In Italia bar e ristoranti sono ancora pieni. Forse la crisi non è ancora arrivata. Per saperne di più, leggi qui

Ristoranti, no grazie. Stasera giochiamo a tombola

La crisi riporta tutti con i piedi per terra. Chissà se gli americani esagerano. Io, in Italia, vedo ancora tanta gente in giro in bar e ristoranti. Per leggee quanto accade negli Usa vai sul sito del Corriere

martedì 17 febbraio 2009

La crisi e gli sprechi della politica

Ho scopero che un assessore provinciale ha, in media, un ufficio con 80 segretarie, impiegati, funzionari, ecc... ma che cosa fanno 80 persone in un ufficio di un assessore provinciale se le Province non hanno competenze (e vanno giustamente abolite)? Prendono lo stipendio. Non sarebbe meglio farli lavorare in settori più produttivi? Non è populismo perchè la crisi richiede interventi finanziari urgenti. E soldi non ce ne sono, a meno di non aumentare ancora il debito pubblico

2009 anno difficile. Si pensa già all'anno prossimo, ma siamo solo a febbraio

PARIGI (Reuters) - La crisi finanziaria internazionale potrebbere vedere la conclusione dall'inizio del 2010, se i governi prenderanno le necessarie misure, ma il problema potrebbe protrarsi se non lo fanno. Lo ha detto il capo del fondo monetario internazionale Dominique Strauss-Kahn alla radio France Inter aggiungendo che "in ogni caso il 2009 sarà difficile". "Se facciamo tutto ciò che è necessario la fine della crisi potrebbe arrivare all'inzio del 2010. Se non facciamo ciò che è necessario si protrarrà" ha detto Strauss-Kahn. Il capo del Fmi ha inoltre detto che il ritmo con il quale le banche stanno ripulendo i loro bilanci non è abbastanza veloce e i piani di stimolo dei governi devono essere più efficaci.

lunedì 16 febbraio 2009

Crisi: Sacconi, si rischia il disastro sociale

Il ministro del Welfare Maurizio Sacconi lancia l'allarme. L'attuale crisi economica può portare a una situazione di "disastro sociale". All'Ansa dice: "E' fondato il timore che la crisi possa determinare un disastro sociale, con tensioni nelle aree più vitali del Paese, come la Lombardia, il ricco nordest e la Torino dei beni durevoli". Per il ministro sono dunque fondamentali criteri di "stabilità, liquidità e occupabilità".

Piloti precari?

Leggete qui: Cai, per decine di piloti "a tempo" non ci sarà neanche la Cig
Poi votate il sondaggio a destra

sabato 14 febbraio 2009

La crisi colpisce tutti

Come uscire dalla crisi? Queste le proposte del PD. Basteranno 16 miliardi di euro?
Leggi questo articolo su Repubblica.it

venerdì 13 febbraio 2009

La crisi finanziaria si fa sentire sull'economia reale

ROMA - Il Pil del 2008, corretto per i giorni lavorati, ha fatto registrare un calo dello 0,9%. L'ultima stima governativa, aggiornata con il Programma di stabilità, indicava un Pil in calo dello 0,6%. Nel quarto trimestre del 2008 il Pil ha segnato un calo dell'1,8% sul terzo trimestre 2008, quando era sceso dello 0,6%, dato rivisto da -0,5%. Sempre nel quarto trimestre, il Pil ha mostrato un calo del 2,6% su base annua, dal tendenziale di -1,1% del terzo trimestre 2008, rivisto da -0,9%.
RISULTATO PEGGIORE DAL 1993 - La media annua segna il risultato peggiore dal 1993, il calo congiunturale del quarto trimestre è invece il risultato peggiore almeno da inizio serie storiche nel 1980. «Il risultato congiunturale del Pil è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto dell'industria e dei servizi e di un aumento del valore aggiunto dell'agricoltura», dice Istat, aggiungendo che l'effetto di trascinamento sul 2009 è pari a -1,8%. Cioè, chiarisce l’Istat, se nel 2009 non ci fossero variazioni nella crescita per tutto l’anno, il 2009 si chiuderebbe con un calo dell’1,8%.«Nel quarto trimestre il Pil è diminuito in termini congiunturali dell'1,5% nel Regno Unito e dell'1,0% negli Stati Uniti - continua l'Istat - in termini tendenziali il Pil è diminuito dell'1,8% nel Regno Unito e dello 0,2% negli Stati Uniti e -2,1% in Germania».

lunedì 9 febbraio 2009

Tempi duri, nessuno interviene

Tempi durissimi per chi cerca lavoro, per chi ha solo un posto a tempo determinato, per chi è in cassa integrazione. Adesso c'è la crisi ed è più difficile sistemare le cose. I problemi, a mio avviso, andrebbero discussi e risolti in tempi normali. Così, se arrivano le crisi, possiamo affrontarle. Invece in questo Paese si discute di Grande Fratello, di talpe, fattorie e via dicendo. Poi quando arriva la crisi (ed è arrivata) ci troviamo impreparati. Le leggi non ci sono, i precari aumentano, il mondo del lavoro non è in grado di assorbirli, gli ammortizzatori sociali non ci sono per tutti, e via dicendo. E altrettanto si potrebbe dire per l'enorme debito pubblico (quasi 1.800 miliardi di euro). Adesso ci sarebbe da dare una mano ai più poveri, a chi non ce la fa. E dove vai a prendere le risorse? Un'altra volta aumentando il debito? Insomma, in tempi normali bisognerebbe mettere il fieno in cascina.

Da precari a disoccupati il passo è breve

L'anno nero del lavoro a tempo I precari rischiano l'estinzione
di ROBERTO MANIA

DA flessibili a precari. Da precari a disoccupati. La recessione sconvolge i mercati globali ma anche quelli locali del lavoro. In Italia ci sono circa 4 milioni di lavoratori con contratto atipico e per molti di loro l'obiettivo del posto fisso scolorisce e forse svanisce dentro la perfetta tempesta finanziaria. Per gli atipici, piuttosto, questa è la stagione dei licenziamenti, mentre la precarietà allarga i suoi tentacoli e penetra in quella che era la cittadella dei garantiti del contratto a tempo indeterminato. S'avanzano valanghe di cassa integrazione e di mobilità. E almeno un milione di atipici rischia di finire nelle liste di disoccupazione. La flex-security resta un anglicismo e soprattutto uno slogan con poca fortuna nel Belpaese. Questa è la prima recessione che affrontano i precari made in Italy. La precedente, quella del '93 con quasi un milione di posti persi, non l'hanno vista semplicemente perché non c'erano. Il pacchetto Treu e poi la legge Biagi, con le tante tipologie contrattuali, arriveranno dopo, a cavallo tra il Novecento e il nuovo secolo: dai co. co. co ai co. co. pro; dal lavoro interinale a quello in somministrazione; dal job sharing al job on call, fino allo staff leasing. Si disse che bisognava rendere più facile l'ingresso nel mercato del lavoro. E le generazioni più giovani hanno sperimentato tutte le vie d'accesso. Ma ci si accorge oggi che è soprattutto più facile licenziare. O non rinnovare i contratti a tempo, che poi è lo stesso. Così - stando a un sondaggio di Eurispes - oltre il 46 per cento degli italiani ritiene che le nuove regole del mercato del lavoro abbiano soltanto reso più difficili le possibilità occupazionali dei più giovani.
Eppure certifica l'ultimo Rapporto del Censis - tra il 2004 e il 2007 l'incremento del lavoro atipico è stato del 14,7 per cento contro una crescita di quello tipico di appena il 2,3 per cento. E ancora: nello stesso periodo i contratti a tempo determinato sono aumentati di quasi il 19 per cento. I numeri complessivi sui precari in transito verso la disoccupazione ancora non ci sono, ma basta guardare cosa sta accadendo in alcune regioni industriali del nord, dove la crisi sta picchiando già duramente, per intuire il trend. In Piemonte a dicembre le assunzioni attraverso i contratti a tempo determinato sono crollate di quasi il 20 per cento, dopo il - 13,3 per cento di ottobre e il - 18 per cento di novembre. I prossimi mesi, va da sé, saranno peggiori. Tra ottobre e novembre nel torinese - dati provenienti dai Centri per l'impiego - si sono persi, senza i rinnovi dei contratti a termine, così quasi 21 mila posti di lavoro, quando solo nei tre mesi precedenti il calo era stato decisamente più contenuto: poco più di 4.000. Il grafico del Veneto non è diverso e l'inversione di tendenza si è registrata a ottobre: da quasi 12 mila contratti a tempo determinato di settembre e meno di 7.000 a novembre. Poi c'è l'Emilia Romagna: nel 2008 sono stati assunti con contratto a tempo determinato 109 mila persone, 90 mila di queste scadono nei primi sei mesi di quest'anno. Dire che sono a rischio è un eufemismo. Tre economisti del sito de lavoce. info (Fabio Berton, Matteo Richiardi e Stefano Sacchi) hanno stimato che a dicembre sarebbero scaduti 300 mila contratti a tempo determinato e solo una parte di questi (meno del 38 per cento) avrebbe poi potuto ottenere il sostegno al reddito. Perché - nell'epoca della produzione just in time e, appunto, della flessibilità del lavoro - il sistema degli ammortizzatori sociali, salvo qualche intervento realizzato dall'ultimo governo di centrosinistra, non è ritagliato per le misure degli atipici. Che non hanno la cassa integrazione perché non mantengono il rapporto con la propria azienda, e per i quali l'accesso all'indennità di disoccupazione è spesso un tragitto tortuoso per superare gli ostacoli che la legge frappone a chi non ha avuto un rapporto standard senza interruzioni. D'altra parte questo è il doppio mercato del lavoro che si è ingrossato negli anni e che non si è mai avvicinato alle vecchie, in fondo rassicuranti, protezione d'epoca taylorista. Ancora i numeri, questa volta relativi al lavoro interinale che, nell'ingordigia definitoria, è diventato "a somministrazione". Insomma, il "lavoro in affitto". La fonte, questa volta, è l'ultima indagine trimestrale dell'Ente bilaterale nazionale per il lavoro temporaneo. Dunque, nel terzo trimestre del 2008 la differenza tra missioni avviate e cessazioni ha registrato un saldo negativo di 60 mila unità (pari al 25 per cento delle missioni avviate nel periodo). Ma nel 2007, considerando il medesimo arco temporale, il saldo era positivo, con un numero di assunzioni superiore di circa 7 mila rispetto alle cessazioni. D'altra parte se sprofonda la domanda, nessuno può chiedere lavoro. E già in condizioni normali - secondo l'Istat - un lavoratore temporaneo ha 14 probabilità su cento di perdere il posto entro un anno, contro il 4 per cento del lavoratore tipico. Gli atipici, si sa, sono i più giovani. Il 21,5 per cento dell'arcipelago del lavoro precario è costituito da lavoratori fino a 34 anni di età. La classe di età compresa tra i 35 e i 44 anni - secondo il Censis - rappresenta il 9 per cento; e ancora meno la classe tra i 45 e i 54 anni: il 6,2 per cento. Ma la precarietà dei giovani - sostiene il Censis - "risulta aggravata" dal netto calo del lavoro tipico nella loro fascia d'età: - 9,5 per cento. E' così che la precarietà è entrata nel ceto medio, perché sono anche i figli di un piccola borghesia poco avvezza alle intemperie del mercato del lavoro, cresciuta all'insegna della stabilità e del progressivo miglioramento del proprio status, a fare i conti con l'incertezza. Certo, sono i precari delle professioni intellettuali, degli uffici, delle consulenze, della pubblica amministrazione, delle università, della ricerca. Non delle fabbriche e neanche dei call center. Che, probabilmente, restano ad appannaggio delle classi popolari. Ma - ha scritto Aris Accornero nel suo "San Precario lavora per noi" - "non si può escludere che i ceti medi, coinvolti in una precarietà che non avevano mai conosciuto, ne vengano da questa frustrati più di quanto tocchi alla classe operaia, se non altro perché avevano aspettative di una maggiore stabilità dell'impiego". La precarietà allora diventa capillare come fenomeno percepito dalla comunità, aldilà delle sue dimensioni numeriche. Soprattutto perché non esistono paracaduti sociali: il precario, in Italia, è senza rete protettiva. In un'inchiesta di poco più di un anno fa, la Ces (la Confederazione dei sindacati europei) ha stimato che l'esercito dei lavoratori vulnerabile (o perché no? working poor, come negli Stati Uniti) ha superato i 30 milioni in tutto il continente: sei milioni nella Spagna del boom immobiliare e della iperliberalizzazione del mercato del lavoro, cinque nella Gran Bretagna, deindustrializzata, sei nella Germania dal welfare opulento. Così che - dati Eurostat - la percentuale di lavoro temporaneo in Europa è di poco superiore al 14 per cento (14,3), ma è oltre un terzo nel mercato spagnolo, il 14,2 per cento in Germania, il 13,3 per cento in Francia, il 12,3 in Italia. Una percentuale non clamorosa ma che negli anni, nella mancanza di un progressivo adeguamento delle protezioni sociali, ha inciso fortemente sulla cultura del lavoro e anche sulla scarsa produttività della nostra economia. Perché non può non esserci un rapporto tra la flessibilizzazione disordinata del nostro mercato del lavoro, con le sue frammentazioni e destrutturazioni, con la sua illusione di un'occupazione crescente nonostante un Pil perlopiù stagnante, e il crollo della produttività del sistema. E' solo una coincidenza che dal 1995 al 2004 la produttività media del lavoro sia aumentata da noi solo del 3,1 per cento, contro il 12 per cento tedesco e l'11,8 per cento francese? Eppure nei decenni passati, quelli delle garanzie, eravamo stati noi la tigre europea. Infine, dopo essere stati tanto flessibili e poi anche precari, i nostri lavoratori atipici difficilmente saranno pensionati, almeno come concepiamo noi adesso questa categoria. Certo - quando lavorano - versano i contributi previdenziali, e il loro è uno dei fondi dell'Inps con il migliore attivo. Ma serve per pagare le pensioni dei loro padri. E forse anche i prepensionamenti decisi, ancora una volta, dall'arroganza della recessione. (9 febbraio 2009)